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Aragona: Ancora accanimento verso i cani randagi

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Contenitore ritrovato a pochi metri dell’animale morto

 Dopo il ritrovamento di un cane nel centro storico di Aragona, in Piazza Umberto I, dove una 19enne, aragonese, ha accolto l’animale dando le prime cure dopo alcuni malviventi avevano dato fuoco, oggi il ritrovamento di un’altro cane, avvelenato.

Nerina, è questo il nome del cane ritrovato, da Mimma Parigi, una volontaria che offre il suo tempo libero, per accudire i malcapitati animali, che non hanno la possibilità di avere un pasto al giorno.

Nerina, era un cane, randagio, molto innocuo, tanto docile, che si aggirava in Via Nazareno, che porta verso il Castelletto dell’Acqua.

La volontaria, ci fa sapere che l’ultima volta che ha visto, il povero animale è stato il 26 Dicembre scorso, e ieri 4 Gennaio 2020, il ritrovamento con un’altro cane di nome “Lupin”, che fortunatamente si è salvato, forse per non aver ingoiato il fatidico “bocconcino” che ha portato alla morte “Nerina”.

Non è il primo caso in cui vengono uccisi cani e gatti in questo luogo, nella zona di Via Nazareno (Belvedere), anche la Nostra Redazione si era occupato dello stesso caso  il 29 dicembre 2014 quando erano stati ritrovati tre carcasse di cani. Dalla relazione tecnica redatta dal Veterinario dott. Panarisi, in data 30 dicembre 2014, dichiarava che la probabile causa di morte è da attribuire ad un avvelenamento da “organofosforici”.

I volontari del paese ed il quartiere, protagonista della vicenda amareggiati, chiedono alle Istituzioni ed anche alle Forze di Polizia che vengano attuati i dovuti controlli nella zona ed eventualmente assicurare i malviventi alla giustizia.

Ricordiamo che l’uccisione animali (domestici e non) è un reato e l’autore di questi gesti, se individuato, subisce una condanna. Il codice penale (art. 544-bis) punisce infatti l’uccisione di animali «per crudeltà o senza necessità» e spargere polpette avvelenate allo scopo di uccidere animali rientra perfettamente tra le fattispecie penalmente rilevanti. Anche se l’animale si salva, a causa delle forti sofferenze inflitte dal veleno si configura comunque il reato di maltrattamento (art. 544-ter), punibile con la pena della reclusione sino a 18 mesi. Se invece l’animale non solo soffre ma come spesso accade muore solo dopo una lunga agonia, si avrà maltrattamento aggravato dalla morte, per il quale è previsto un aumento di pena.

Oltre che per gli animali, questi veleni costituiscono un pericolo anche per la salute e l’incolumità delle persone e possono danneggiare l’ambiente. Sulla base di questo presupposto, nel 2012 il Ministero della Salute aveva emanato un’ordinanza per vietarne ai privati l’uso e la detenzione,  dettando l’obbligo per i comuni di provvedere alla disinfestazione in caso di episodi di avvelenamento a danno di animali. Purtroppo al momento in cui si scrive questa ordinanza, che era stata prorogata più volte, è scaduta da alcuni mesi senza che il Ministero l’abbia prorogata e non è quindi più in vigore. Ciò non toglie che l’utilizzo di esche e bocconi avvelenati resta vietato, considerata l’intrinseca idoneità lesiva degli stessi e l’impossibilità di evitare che una volta sparsi non provochino la morte di animali.

Per chi si trovasse avanti a queste terribili scene di animali avvelenati o maltrattati per la denuncia, che ovviamente deve contenere le prove dell’avvelenamento dell’animale (a questo proposito è importante allegare tutti i referti veterinari), ci si può rivolgere a qualsiasi organo di polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo Forestale dello Stato, Polizia Municipale, Polizia Provinciale), presentando di persona il proprio esposto o denuncia (anche contro ignoti) in forma scritta. Se si rinviene del materiale sospetto come possibile esca avvelenata, occorre attivarsi tempestivamente segnalandone subito la presenza agli organi di vigilanza (Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri, Polizia Municipale, Polizia Provinciale, Servizio Veterinario ASL, ecc.). La Lega Antivivisezione (LAV) suggerisce in questi casi, come completamento dell’azione, oltre ad affiggere cartelli (come è stato fatto), di scrivere al Sindaco e all’ASL esprimendo indignazione e chiedendo interventi deterrenti o di controllo delle zone interessate dagli avvelenamenti, nonché campagne di sensibilizzazione sul fenomeno”.

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