Salute

SALUTE: Una buona alimentazione

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Salute Alimentazione

Alla base della nostra salute ci deve essere una sana e corretta alimentazione ma prima ancora l’educazione ad un corretto comportamento alimentare. E’ fondamentale intervenire sugli attuali modelli alimentari alla cui base ci sono ancora eccessi di proteine, soprattutto animali, eccessi di grassi, in particolare quelli saturi, scarsa presenza di carboidrati con eccesso di zuccheri a rapido assorbimento, che minano silenziosamente il nostro benessere. E’ utile, dunque, intervenire su questi modelli errati introducendo a tavola modifiche concrete fatte di controllo delle porzioni, maggior consumo di frutta e verdura, riduzione dei grassi e gestione oculata di spuntini e bibite zuccherate. La cattiva alimentazione causa ogni anno un numero sempre crescente di malattie quali diabete, malattie cardio-vascolari, obesità e tumori. Il sovrappeso e l’obesità infantile e nell’adulto sono temi di grande rilievo nel quadro della Sanità Pubblica del nostro Paese.  Ma dove e come si combatte l’obesità? Sicuramente con l’attività fisica ma anche e soprattutto a tavola.  Diventa quindi necessario promuovere e sostenere interventi di educazione alla salute. Nell’ambito della promozione e della tutela della salute il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha realizzato e realizza ogni anno campagne informative di educazione alimentare al fine di facilitare l’assunzione da parte della popolazione di abitudini alimentari e stili di vita corretti e salutari e prevenire le principali patologie croniche.

Allergia alimentare: E’ una reazione immunitaria all’ingestione di uno specifico alimento (o di alcune sostanze contenuto in esso). Tale reazione si esprime al primo contatto attraverso la formazione di anticorpi specifici chiamati IgE. Questi anticorpi hanno il compito di difendere l’organismo da ciò che l’organismo stesso riconosce come estraneo a sé. La reazione è la medesima che l’organismo manifesta nei confronti di batteri e virus. In occasione di una eventuale e successiva esposizione, a seguito della reazione fra l’alimento ”allergenico” e l’anticorpo, si libera una sostanza, l’istamina, che è la principale responsabile dei sintomi caratteristici di tutte le reazioni allergiche. Le allergie alimentari possono manifestarsi immediatamente dopo l’ingestione dell’alimento incriminato, a volte anche in modo violento. I sintomi di una intolleranza alimentare invece possono comparire anche a distanza di ore, in casi rari anche dopo alcuni giorni, il che rende più difficile riconoscerla e metterla in relazione con il cibo.  I sintomi variano quanto a rapidità e ad intensità a seconda della qualità e la quantità del cibo ingerito.  Quando il cibo ”incriminato” viene portato alla bocca e deglutito, può provocare immediatamente prurito e gonfiore alle labbra, al palato e alla gola; una volta nello stomaco e nell’intestino, può provocare nausea, vomito, crampi, gonfiori addominali, flatulenza, diarrea. Al di fuori dell’apparato gastrointestinale, sono frequenti le reazioni cutanee come orticaria, angioedema o eczemi, sintomi a carico dell’apparato respiratorio (asma e rinite), oppure cefalea ed emicrania. Nei casi più gravi, fortunatamente rari, si possono avere difficoltà respiratorie, brusche cadute di pressione arteriosa, perdita di coscienza e in alcuni casi morte. In questi casi si parla di shock anafilattico, che compare entro un’ora dall’ingestione dell’allergene e che richiede sempre un ricovero ospedaliero urgente.

Intolleranza alimentare: E’ una reazione indesiderata del nostro organismo scatenata dall’ingestione di uno o più alimenti (o sostanze attive) oppure da disfunzioni/disturbi a carico dell’apparato digerente (intolleranze enzimatiche e intolleranze farmacologiche).  Tale reazione è strettamente dipendente dalla quantità dell’alimento non tollerato ingerito (dose-dipendente) ma a differenza delle allergie alimentari, non è mediata da meccanismi immunologici. L’intolleranza alimentare si manifesta con l’insorgere di sintomi spesso sovrapponibili a quelli delle allergie alimentari.  Le intolleranze enzimatiche sono determinate dall’incapacità dell’organismo di metabolizzare alcune sostanze presenti negli alimenti. Questo difetto degli enzimi deputati al metabolismo di determinate sostanze generalmente è congenito, ma talvolta può essere acquisito nel tempo. Le intolleranze alimentari su base enzimatica sono numerose e comprendono un certo numero di malattie che riguardano il metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi. Le intolleranze farmacologiche vengono definite anche come reazioni pseudoallergiche (PAR), perché esistono molte somiglianze a livello clinico con le allergie mediate dagli anticorpi specifici (IgE) Le intolleranze alimentari e la manifestazione sintomatologica conseguente sono sempre dose-correlate e questo aiuta nella distinzione dalle allergie vere nelle quali i sintomi sono scatenati già dall’assunzione di piccole quantità di alimento responsabile. Generalmente i farmaci sono contenuti negli alimenti in quantità molto basse ed è difficile che abbiano un ruolo patogenico nelle intolleranze alimentari di questo tipo. Il problema potrebbe essere scatenato da reazioni incrociate tra additivi alimentari e farmaci. Esistono anche reazioni pseudoallergiche (PAR) da alimenti e da additivi alimentari.

Cause: 

  • assunzione di alimenti che inducono liberazione di istamina nell’organismo e possono provocare orticaria
  • ingestione di alimenti contenenti, per loro natura, elevate quantità di istamina e manifestazione conseguente di orticaria in questi due casi si parla anche di pseudoallergie perché alcuni alimenti assunti in grandi quantità possono provocare sintomi simili a quelli di un’allergia vera e propria in quanto si viene a determinare nell’organismo un eccesso di istamina. Si tratta comunque di casi in cui l’eliminazione dalla dieta abituale dell’alimento incriminato non è tassativa ma basta limitarne il consumo a meno che la sua ingestione non provochi reazioni molto gravi
  • deficit enzimatici ossia l’assenza di quelle particolari proteine detti appunto enzimi di cui l’organismo ha bisogno per metabolizzare gli alimenti. Alcune persone sono prive fin dalla nascita di alcuni di questi enzimi e quindi non riescono ad assimilare determinati alimenti o parte di essi
  • ingestione di particolari additivi contenuti negli alimenti come coloranti, esaltatori di sapidità, conservanti, aromi naturali ed artificiali.

La celiachia o malattia celiaca è un’intolleranza permanente al glutine, complesso proteico contenuto in: grano tenero, grano duro, farro, segale, kamut, orzo e altri cereali minori. Tra i cereali che non contengono glutine ci sono il mais e il riso. Il glutine si trova in pane, pasta, biscotti, pizza e in ogni altro prodotto contenente tali cerali o anche in altri alimenti in seguito di contaminazioni. Il glutine è una sostanza molto usata nell’industria alimentare perché aiuta a dare elasticità e consistenza al prodotto finale ed inoltre favorisce la lievitazione degli impasti infatti viene usato come ingrediente in salse, zuppe, preparati carnei precotti e come addensante nelle formulazioni in tavoletta o pastiglie di alcuni farmaci. L’ingestione di glutine, nei pazienti celiaci, provoca un grave danneggiamento dei villi della mucosa intestinale con un conseguente assorbimento inefficace dei nutrienti. Il malassorbimento può portare a carenze nei diversi distretti dell’organismo determinando altre patologie. Questo può essere particolarmente grave nei bambini. L’unica terapia disponibile, ad oggi, consiste in una dieta rigorosamente priva di glutine da seguire per tutta la vita.

Il sovrappeso e l’obesità hanno ampia diffusione non solo nelle popolazioni dei paesi industrializzati, ma anche tra quelle con basso livello socio-economico-culturale; sono la conseguenza dello squilibrio protratto nel tempo del bilancio tra apporto e dispendio calorico.
Le cause determinanti sono molteplici: predisposizione genetica, fattori ambientali socio-economici, culturali, psicologici, comportamentali, metabolici, neuroendocrini.
Il grasso si accumula in zone diverse del corpo creando problemi di salute diversi in relazione alla zona:

  • “a mela” o “ centrale”, nelle parti alte del corpo (collo, spalle, porzione dell’addome sopra l’ombelico) è più frequente negli uomini, spesso si associa a diabete, ipertensione arteriosa, gotta, malattie cardiovascolari (infarto, ictus);
  • “a pera” o “periferico”, nelle parti basse del corpo (porzione dell’addome sotto l’ombelico, fianchi, cosce), situazione più frequente nelle donne, può indurre artrosi dell’anca o del ginocchio.

L’obesità centrale è più pericolosa per le malattie che ad essa si associano e le possibili complicanze.

Possibili complicanze per entrambi sono: calcolosi della colecisti, ernie, varici, difficoltà respiratoria, alcuni tipi di tumore.
La misura della circonferenza della vita all’altezza dell’ombelico se superiore a 88 cm nella donna e a 102 cm nell’uomo indica aumentato rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari e metaboliche.
Sedentarietà ed eccesso di alimenti ad elevata concentrazione calorica, ricchi di grassi e zuccheri semplici e poveri di fibra favoriscono l’insorgenza del sovrappeso e dell’obesità sin dall’infanzia; ciò oltre che favorire l’insorgenza di complicanze metaboliche, cardiovascolari, osteoarticolari psicologiche e sociali in giovane età, determina anche un aumento delle cellule del grasso e quindi, l’impossibilità ad essere normopeso in età adulta salvo aderire per tutta la vita a dieta ipocalorica. con vari problemi (psico-sociali, rischio di carenza di nutrienti, …).

L’ approccio alla malattia diabetica si basa su tre elementi fondamentali: dieta, esercizio fisico e trattamento farmacologico (insulina o ipoglicemizzanti orali) con diversa priorità a seconda del tipo di diabete.
L’approccio nutrizionale rappresenta il trattamento di base anche in considerazione del fatto che circa un terzo dei pazienti diabetici può essere compensato con la dieta e che, nei pazienti in trattamento farmacologico, ciò consente il mantenimento al minimo della terapia.
Un efficace controllo del diabete, in qualunque stadio e di qualsiasi tipo, è dunque possibile con il controllo ottimale della dieta.

Essa si propone i seguenti scopi:

  1. Fornire le calorie sufficienti per raggiungere e mantenere il peso corporeo nei limiti fisiologici;
  2. Fornire un’alimentazione razionalmente ottimale dal punto di vista qualitativo;
  3. Consentire la migliore regolazione dei valori glicemici durante le 24 h mediante la più opportuna scelta degli orari dei pasti;
  4. Contribuire a prevenire le complicanze acute del diabete insulino trattato e quelle croniche del diabete in genere come la nefropatia autonomica, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari (CVD).

Gli obiettivi comportamentali e clinici specifici di ogni paziente vanno poi discussi, negoziati e stabiliti singolarmente.
A conferma dell’importanza della dieta nel trattamento del diabete, diversi studi hanno dimostrato che il programma di trattamento del diabete deve mirare al raggiungimento dell’euglicemia per ritardare la comparsa o rallentare la progressione delle complicanze, suggerendo che la nutrizione può essere considerata l’elemento critico, fondamentale, nel trattamento del diabete, ai fini del raggiungimento di un efficace controllo della glicemia nei pazienti.

L’American Diabetes Association ha proposto, nel corso degli anni, diverse linee guida sulla nutrizione, in cui inizialmente era prevista una percentuale di carboidrati intorno al 40%, poi aumentata fino al 55-60%, le proteine erano fissate in quantità pari a 0,8 g/kg e i grassi erano inferiori al 30%; nel 1994 è stato proposto un nuovo schema basato su una percentuale fissa di proteine (10-20%) e una variabile di grassi (con meno del 10% di grassi saturi) e carboidrati da valutare in base allo stato nutrizionale del paziente. Sono stati inoltre inclusi saccarosio ed altri zuccheri semplici nel piano alimentare del diabetico.

L’osteoporosi si può definire come un disordine delle ossa scheletriche caratterizzato dalla compromissione della robustezza dell’osso che predispone ad un aumento del rischio di frattura e questo ne è l’aspetto più importante soprattutto per l’alto numero dei casi colpiti nella popolazione adulta.

Il ruolo esatto dell’osteoporosi nell’etiologia delle fratture deve, peraltro, ancora essere determinato con precisione. Infatti la resistenza dell’osso ai traumi riflette l’integrazione tra due fattori:

  1. la densità ossea
  2. la qualità ossea.

La densità ossea è espressa in grammi di minerale per area ed è determinata, in ogni individuo, dal picco di massa ossea raggiunto e dalla quantità di osso perso.
La qualità dell’osso fa riferimento complessivamente all’architettura, al turnover, alla somma dei danni sofferti e alla mineralizzazione.

E’ oggi ampiamente accettato che l’osteoporosi non è solo conseguente alla perdita ossea che accade con l’avanzare dell’età. Un individuo che non raggiunge un picco ottimale di massa ossea durante l’infanzia e l’adolescenza, può infatti sviluppare osteoporosi senza che vi sia una accelerata perdita ossea in età adulta. Nello sviluppo dell’osteoporosi una crescita ossea sub-ottimale nelle prime fasi della vita deve così essere considerata importante tanto quanto la perdita di massa ossea che si verifica in età adulta.

Ottimizzare la salute dell’osso è quindi un processo che dura tutta la vita sia nei maschi che nelle femmine. Agire sui fattori che influenzano la salute dell’osso a tutte le età è essenziale per prevenire l’osteoporosi e le possibili fratture conseguenti.
Nell’anziano vi sono fattori aggiuntivi che contribuiscono significativamente all’aumento di incidenza di eventi fratturativi, quali le cadute più frequenti associate a scarse reazioni protettive. Deve essere fatta una distinzione tra i fattori di rischio che portano all’alterazione del metabolismo e della resistenza dell’osso ed i fattori di rischio immediatamente legati alla frattura (es. i traumi di varia entità).

Gli interventi in questo campo sono necessari visto che l’osteoporosi e le fratture femorali, vertebrali, ecc, sono una delle principali cause di disabilità nella popolazione anziana ed hanno un impatto notevole anche in termini di costi sociali.

Le malattie cardiovascolari (MCV) costituiscono la prima causa di mortalità e morbilità dell’adulto nei paesi industrializzati, fra cui l’Europa per la quale è riportata un’incidenza particolarmente elevata nelle regioni del Nord, Centro ed Est, ed un’incidenza inferiore nei paesi del bacino del Mediterraneo.

Le strategie preventive attuate per la popolazione adulta hanno portato ad una riduzione della mortalità per MCV in molti paesi europei, anche se non in tutti, l’infarto miocardico tuttavia continua a rappresentare la prima causa di morte nell’Unione Europea per uomini e donne dopo il 40° anno di età.

 

 

 

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